Quando si affronta il tema dell’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), la percezione comune tende a focalizzarsi sugli aspetti biologici e genetici, identificando il bambino come colui che “non riesce a stare fermo”, “non si concentra” o “è eccessivamente impulsivo”. Le Linee guida e il DSM-5, strumenti fondamentali per la diagnosi, forniscono una descrizione dettagliata dei comportamenti osservabili. Tuttavia, Roberta Bernetti e Marianna Lembo, nel loro contributo per il Dizionario AIPPI per Genitori, avvertono che si rischia di limitarsi alla superficie, concentrandosi unicamente sui sintomi.
Ascoltare il comportamento oltre la diagnosi
La prospettiva psicoanalitica invita a guardare oltre ciò che appare, per cogliere il messaggio implicito nel comportamento del bambino. Le autrici evidenziano che dietro ogni diagnosi si cela un bambino con una storia unica, caratterizzata da affetti, necessità e paure che si esprimono attraverso il corpo e il movimento. In questo contesto, l’ADHD non è semplicemente un “problema da risolvere”, ma rappresenta “una modalità di comunicazione di sé”.
L’approccio suggerisce che l’iperattività e la disattenzione non siano meri “difetti comportamentali”, ma piuttosto tentativi di gestire tensioni interne o di esprimere emozioni difficili da verbalizzare. Bernetti e Lembo affermano che “quando il corpo si muove incessantemente o la mente sembra vagare, il bambino potrebbe cercare una via di fuga da un eccesso di emozioni”. Spesso, questi bambini si trovano in ambienti caratterizzati da ansia, stress o conflitti familiari. La mancanza di un supporto emotivo stabile ostacola la loro capacità di regolare i propri stati interiori. Se l’adulto non riesce a dare significato alle emozioni del bambino, queste rimangono intrappolate nel corpo, trasformando il movimento in una forma di sopravvivenza psichica.
Il contesto familiare e le relazioni
Dal punto di vista psicoanalitico, il bambino iperattivo non è “fuori controllo”, ma cerca di difendersi da emozioni spaventose o confuse. Correre, distrarsi o agire impulsivamente diventa un modo per non affrontare la rabbia, l’ansia o la tristezza. In questa dinamica, il contesto familiare riveste un’importanza fondamentale. L’iperattività può fungere da portavoce inconscio di tensioni familiari non espresse. Differenze di opinioni tra i genitori, conflitti o lutti non elaborati possono intensificare il sintomo, trasformandolo in un campo di battaglia relazionale. Al contrario, quando gli adulti si sostengono a vicenda, il bambino beneficia di un ambiente più sicuro e stabile, che promuove calma e serenità.
Imparare a tollerare la frustrazione
Molti bambini con ADHD mostrano difficoltà nell’attendere e nel gestire la frustrazione. Questa impulsività, secondo le autrici, può essere interpretata come una manifestazione di onnipotenza infantile, un desiderio di ottenere gratificazione immediata senza passare attraverso il pensiero. Gli adulti hanno il compito di stabilire limiti chiari e affettuosi, fornendo contenimento e continuità. Insegnare ai bambini a tollerare l’attesa e a rimandare la gratificazione è essenziale per sviluppare un senso del tempo e una fiducia nei legami affettivi.
Il gioco come strumento di crescita
Il gioco libero è considerato un elemento cruciale per lo sviluppo psichico, poiché permette ai bambini di esprimere emozioni, sviluppare la fantasia e apprendere a collaborare. Tuttavia, nella società attuale, le giornate dei bambini sono spesso sovraccariche di attività strutturate, lasciando poco spazio alla spontaneità. La mancanza di gioco libero, come indicato nel testo, priva il bambino della possibilità di elaborare emozioni e conflitti in modo simbolico. La psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia offre uno spazio in cui il sintomo può essere trasformato in parola. Attraverso il gioco e la relazione con il terapeuta, il bambino apprende a riconoscere, pensare e modulare le proprie emozioni, con l’obiettivo di gestire sentimenti intensi come rabbia o paura e di connettere stati interni a esperienze vissute.
Collaborazione tra genitori e terapeuta
Il coinvolgimento dei genitori è fondamentale nel percorso terapeutico. Offrire agli adulti uno spazio di riflessione consente di comprendere meglio le proprie emozioni, contribuendo a ridurre ansia e senso di colpa. Quando la famiglia riesce a trasformare la fatica in comprensione, “il sintomo del bambino perde parte della sua funzione difensiva”. Sebbene la prospettiva psicoanalitica non ignori i fattori neurobiologici legati all’ADHD, li integra con una comprensione più profonda del mondo interiore del bambino. Ogni comportamento, anche il più complesso, può essere interpretato come un messaggio, una richiesta di aiuto che attende di essere ascoltata. Accogliendo questo linguaggio profondo, si può accompagnare il bambino verso una crescita psicologica ed emotiva più equilibrata.

Il tema dell’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) viene spesso ridotto a sintomi come l’impulsività e la mancanza di concentrazione. Tuttavia, Roberta Bernetti e Marianna Lembo nel loro contributo avvertono dell’importanza di andare oltre la diagnosi. La prospettiva psicoanalitica suggerisce che dietro il comportamento si nascondono emozioni e necessità profonde. La dinamica familiare è cruciale, poiché tensioni non espresse possono intensificare i sintomi. Inoltre, i bambini con ADHD hanno difficoltà a tollerare la frustrazione e necessitano di adulti che stabiliscano limiti chiari. Il gioco libero è essenziale per il loro sviluppo, consentendo l’espressione emotiva. È fondamentale anche il coinvolgimento dei genitori, per trasformare la fatica in comprensione e ridurre il senso di colpa. Attraverso questo approccio, ogni comportamento del bambino può essere visto come una richiesta di aiuto, favorendo una crescita più equilibrata.
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